Il Blog di Lebowsky

"Tiente largo, ma datte 'n limite" (cit. M. Paolini)


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Caranly.com (ex Soubare) è sito truffa

Capita a tutti ed è capitato anche a me. Il digitale miete vittime, anche d’esperienza, a volte. Perché vedi un prodotto che stavi cercando, a un prezzo basso e rischi anche se non conosci il merchant, senza porre troppa attenzione e senza fare controlli prima.

Il sito https://www.caranly.com è un sito truffa. Ordini, paghi e non vedrai mai la merce arrivare. Inutile scrivere al support, inviare mail, cercare qualche altro contatto. Non vi risponderanno mai.

La cosa incredibile è che non ci siano mezzi se non recensioni e segnalazioni tra utenti, perché sul sito di PS è possibile fare segnalazioni ma in casi di phishing, defacing o altro. Se semplicemente non spediscono mai, non puoi procedere.

Unica cosa, diffondere la notizia anche dandosi del cretino per esserci cascato (ma come dicevo a fronte di 50€ si tende a essere più leggeri e meno diffidenti a volte, cosa su cui contano proprio questi loschi figuri).

Nel frattempo segnalo tutte le loro pubblicità sui social come truffa, anche se passano a volte da altri nomi. E a GoDaddy.com presso cui è registrato il dominio, ho segnalato la cosa chiedendogli il blocco del dominio e l’interdizione dai servizi del registrant.

Vedremo, intanto occhio a tutti perché hanno riempito i social di pubblicità.


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Re-start

Siamo ancora tutti qui. Molte persone in questi giorni sono in preda alla noia e non vedono l’ora di tornare alla vita di prima. Esprimono il peso di questa condizione di isolamento, quasi come fosse un sacrificio enorme.

Non so se preoccuparmi o meno, ma la sensazione che ho invece io e che non ho alcuna voglia di tornare alla vita di prima. Non mi pesa l’isolamento, non mi pesa non incontrare altre persone, non mi pesa un lavoro meno frenetico e snervante.

Sono certo angosciato come tutti dalla crisi economica che – non ci son dubbi – arriverà pesante per molti e devastante per tanti. Allo stesso tempo però, mi rendo conto che in questi momenti si ha una lucidità in più dettata dal ritmo, dal tempo dilatato, dalla fatica in meno dovuta ai chilometri in auto quotidiani, improvvisamente azzerati.

Ci si rende conto dello spessore delle persone che si sono frequentate negli ultimi tempi, del loro reale valore. Le maschere cadono, le amicizie vere restano e quelle d’interesse, evaporano più o meno velocemente. Da segnarsele su un quaderno per le opportune pulizie future…

Si ridimensiona anche il concetto di business: una rincorsa alla crescita insostenibile e inversamente proporzionale, mi sembra ora, alla felicità e alla semplicità della vita. In questo momento mi chiedo per quale motivo ho fatto impresa tutti questi anni. Non è per me, non mi appassiona e non mi arricchisce. Sarebbe stato certo meglio fare il dipendente e non sacrificare tante energie sacrificando passioni e motivazioni personali.

Ogni offerta sarà vagliata con attenzione 😀

Eppoi il lato appassionato ed etico del lavoro. Pur avendo sempre perseguito dei valori umani anche nel lavoro, non sempre sono riuscito a non deludere gli altri, stretto a volte nella morsa dei conti o delle scelte dirimenti. Ma soprattutto…

La domanda più insistente e urgente da porsi nella vita è: cosa stai facendo per gli altri?

Martin Luther King

Mi rendo conto che ho finito per fare, bene per carità, un lavoro che però spesso è fine a se stesso. Non mi definisce per l’uomo che voglio essere. E così in questi giorni ho la testa che frulla su nuovi progetti legati al no profit e alla condivisione. Non so se ne uscirà qualcosa di buono, ma so che sarà condivisa – fossero anche solo idee – con persone con cui ho piacere di collaborare (o per dirla come Nicola Palmarini, “collavorare”).

Sulla base di questa nuova lucidità, si potranno fare scelte importanti. Tutti. Non perdete questa occasione.

So che le cattive abitudini (cit. Bugo-Morgan) torneranno presto, molto presto, per tanti. Ma provate a investire per essere migliori. Sarà un primo passo per un Mondo migliore.


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Quarantena

Ci è voluta la quarantena per tornare qui sopra a scrivere, quasi tre anni dopo l’ultimo post. Nel frattempo ed anzi da prima, i Social Network, immediati e sintetici, hanno via via ucciso l’abitudine di esprimere pensieri (non richiesti) in forma estesa. Ora, blindati in casa, il tempo si dilata e torno su questi fogli bianchi digitali…

L’attuale situazione che stiamo vivendo è surreale ma anche – socialmente – interessante.

La pandemia da COVID-19 o Coronavirus ha messo il Mondo di fronte a uno scenario nuovo, almeno per la sua parte occidentale (che in Africa con Ebola e altri virus, non si son fatti mancare nulla in termini di disgrazie). Un nemico impalpabile e cinico, ci ha costretti, quantomai reticenti, in casa.

Abbiamo dovuto superare i 500 morti e i quasi 7-8.000 contagiati per ritenere davvero pericoloso per tutti il virus ad alta capacità di replica e diffusione. Colpevolmente, abbiamo assistito all’onda proveniente dalla Cina, uno tsunami, guardandola curiosi e senza capire che ci avrebbe colpito in pieno volto di lì a poco. Abbiamo cinicamente ristretto il rischio alle categorie deboli, anziani e aventi patologie pregresse. Abbiamo sfrontatamente brindato in piazza alla faccia del virus, come non ci riguardasse.

L’Italia come sempre è un Paese buffo. Ha smantellato per anni pezzi di Sanità, riducendo ad esempio i posti letto in rianimazione o chiudendo le strutture locali minori, facendo andare all’estero medici e infermieri. Ora è riuscita in pochi giorni a fare i salti mortali, ad avere un esercito di personale in trincea, a moltiplicare i posti, a modificare strutturalmente o per funzione pezzi di ospedali prima vocati ad altre patologie. E come in ogni guerra, i caduti anche tra medici, anestesisti e infermieri, è alto…

Politicamente, non si è tenuto conto di due fattori di immaturità: quella dei cittadini, prossimi all’infantilità, e quella dei media, avvoltoi incapaci di restituire spesso un’informazione corretta.

I Cittadini. Come i figli, pensano più spesso ai diritti che ai doveri… C’è voluto un quarto decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, per convincerli, più o meno, a stare a casa. La moltiplicazione delle ordinanze, non ha fatto bene. Anche se sono scelte dolorose, forse andavano prese con miglior tempismo e uniformità. Nel passaggio da poche zone rosse all’estensione totale delle misure a tutto il territorio nazionale, si potevano evitare le fasi intermedie di “Lombardia zona rossa” o del misto rosso-arancio fossimo nemmeno un Arlecchino. Questi tentennamenti e la fuga di notizie, hanno comportato una fuga scomposta (e irresponsabile) da Milano e dalla Lombardia. Ne vedremo le conseguenze a breve, purtroppo. Mi chiedo se quelle persone che si affrettavano a Milano Centrale, hanno oggi un minimo rimorso. Hanno sicuramente dimostrato invece l’egoismo e l’egocentrismo dell’italiano medio, che pensa prima a sé stesso che agli altri. Fortuna ci sono anche “gli altri”, quelli che compiono il proprio dovere senza colpo ferire, quelli che si mettono al servizio degli altri, quelli che hanno adottato le misure da subito senza lamentarsi troppo.

I Media. Le news e gli speciali vanno avanti ormai da settimane. Potrebbe cadere un asteroide sulla nostra testa, ma sono tutti concentrati sull’argomento che – spaventando i cittadini – raccoglie la maggior audience. Ci sta. Un po’ meno corretto il tipo di informazione a volte. La distanza di sicurezza tra persone per evitare il contagio è passata da 1 a 4 metri e ritorno, incluse tutte le vie intermedie. Le mascherine, introvabili, servono o non servono alternativamente, solo ai malati o per non ammalarsi. Un po’ come i guanti… (a me ricordano di non portare le mani al volto, dunque hanno già una funzione utile). Colpevoli anche nel calcare la mano sui destinatari del virus, gli anziani. Hanno così dato una scusa ai giovani per continuare a vivere un po’ di giorni in più di “apericene” e di contagi. Anche diffondere indiscrezioni pur ricevute di decreti imminenti ma in bozza, forse, non è fare giornalismo ma venir meno alle proprie responsabilità in un momento in cui il bene comune deve prevalere.

Il Governo si trova in una tempesta perfetta, dunque non è il caso di criticare che per nessuno era facile navigarla. Soprattutto non è il momento questo per farlo. Ribadisco comunque che sono stati presi troppi provvedimenti in poco tempo, con il risultato di una grande confusione e di comportamenti disomogenei sul territorio.

Seguendo il community management di diversi Centri Commerciali in Italia, anche nelle zone rosse, ho notato due cose interessanti: le ordinanze di apertura e chiusura, con la definizione fluida e costantemente rivista di cosa resta aperto e in che orari, ha creato un caos indicibile. Le persone continuano a chiedere ogni giorno, quali esercizi sono aperti e quali chiusi, quali sono gli orari e come possono recarsi sul posto, se vengono presi provvedimenti o meno per l’accesso contingentato. Detto che sembra assurdo questa volontà di recarsi in luoghi di questo tipo proprio ora… la cosa invece comica è il tenore dei commenti che si registra. Mediamente offensivi verso i Centri stessi, come se seguire o meno le ordinanze per un esercizio pubblico sia solo una scelta personale e in alcuni casi non un obbligo.

Come sempre, ci siamo scoperti tutti virologi, grandi esperti, dispensatori di consigli e suggerimenti, di perle di saggezza!

Io ho la grande fortuna di avere una casa in campagna, con un giardino e un bosco, cosa che rende le giornate meno monotone e più gestibili anche con i figli. Resisteremo, ma credo sarà opportuno alla fine ripensare anche le nostre priorità, lavorative e non. Questi ritmi forzati, sono alla fine assai più naturali di quelli abituali. Cogliamo questa occasione per stare con noi stessi e valutare le traiettorie post crisi sanitaria.

Io ad esempio già so che dovrò mettermi a dieta!!! Tra cibo e vino, in casa si gozzoviglia ogni giorno… Ieri poi è arrivato un carico di Vouvray dalla Francia, che dovrò sotterrare non essendo solo mio 😀


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Guardare avanti

Ieri una mia amica mi ha girato un link via WhatsApp:

http://27esimaora.corriere.it/17_febbraio_07/martina-firma-contratto-dieci-giorni-parto-incinta-assumiamo-e6573a8a-ed86-11e6-9982-e7f0326adfad.shtml

Aggiungendo: Io ne conosco un altro che lo ha fatto prima. Riferendosi a me.

Mi ha ricordato che qualche anno fa, dopo aver selezionato una persona per la mia azienda di allora, convocandola per la firma del contratto mi trovai di fronte una ragazza contrita che mi annunciò di aver scoperto di essere incinta e che dunque avrebbe capito se quel contratto non lo avessi infine firmato.

Invece lo firmai lo stesso, perché la ritenevo valida professionalmente e perché non mi sarei potuto guardare allo specchio quella sera se mi fossi comportato diversamente. Il grande limite oggi degli imprenditori italiani è che hanno lo stesso vizio dei nostri politici: guardano all’oggi e non al domani, hanno una visione a scarto ridotto e non guardano al futuro (è da dire che il nostro Paese in questo non aiuta…).

Non sono mai finito sul giornale, questo no, ma non mi interessa. Mi interessa essere integro e piacere a me stesso.

Se poi un’amica se ne ricorda, mi fa ancor più piacere.


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Outlook iOS app senza privacy

Avevo pensato di provare Outlook su iPad, testarne le caratteristiche e verificare se per il lavoro era più efficiente del client della Mela. Mailbox ha chiuso i battenti ormai da oltre un anno, Spark ha ancora diversi bug secondo me anche se molto accattivante, dunque era arrivato il turno del client di Microsoft, che peraltro si basa su Acompli, azienda e app acquistate proprio dal colosso americano.

Non riuscendo a impostare le porte IMAP da interfaccia, avevo chiesto un consulto a uno dei nostri tecnici e nel tracciare le richieste in fase di login che il client inviava in Rete, abbiamo scoperto una cosa che mi ha lasciato interdetto:

user e password registrate sul client vengono fornite a Microsoft e tutte le richieste di posta passano da un IP americano, di proprietà Microsoft.

Le credenziali non restano nel client. La posta è visibile a terzi e su suolo USA, dunque inutile fare riferimento alle nostre legislazioni europee in termini di privacy.

Inutile dire che ho disinstallato il client. Anche se non abbiamo nulla da nascondere, mi sembra un approccio pericoloso.

Pensateci.


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Scuse dovute e non ancora arrivate

Dopo il caso Ilaria Capua, un altro caso su cui riflettere. Prosciolto perché il fatto non sussiste un ricercatore di Perugia, il prof. Stefano Fiorucci, dopo ben 8 anni di calvario. A valle, qualche giornale fa ammenda sinceramente:

La storia è del Prof.Stefano Fiorucci, dell’Università di Perugia, che nel 2008 fu arrestato per 23 ore, per un’accusa di frode e truffa in un’indagine inerente ad una ricerca universitaria che aveva ottenuto fondi pubblici, con la pubblicazione della notizia su molte testate nazionali e locali, tra cui la nostra. E che adesso riceve la piena assoluzione, in primo grado, dopo otto anni da i reati ascritti, con formula piena “perchè il fatto non sussiste”. Già nel 2009 anche la commissione preposta del MIUR lo assolse per le stesse ragioni.

Giustizia fatta? Certo. Si chiude così? Dal punto di vista tecnico-legale sicuramente si, ma all’uomo, dopo un calvario di otto anni alla ricerca della sua riabilitazione, può bastare?

Sicuramente no.

E in effetti, in 8 anni il medico si è dovuto difendere in giudizio ma allo stesso tempo è stato sbandierato come colpevole su tutti i giornali, italiani ed esteri, perdendo la fiducia degli investitori e vedendo sfumare diversi progetti di ricerca. Oltre al dover sopportare insulti, offese, ha anche perso alcune chance per posizioni interne all’Ateneo di Perugia.

Oggi, sembra tutto cancellato. Il web però è pieno di tracce ed oggi chi fa una ricerca su di lui, ancora trova tracce e allusioni non rimosse o aggiornate da parte di giornali e blog.

La domanda è: come si rimborsano a un uomo questi 8 anni. Ma soprattutto: come possono giudici e giornali tutelare una persona, fino a quando non si è certi realmente che abbia commesso un reato?


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Violenza e non cultura o la cultura della violenza

La notizia assurda del ragazzo che ha ucciso a Roma la sua ex addirittura bruciandola viva dentro l’auto, è l’ennesima follia dei nostri giorni, cui siamo quasi assuefatti. Tra donne uccise, violentate, vessate o umiliate, pare di non essere nel 2016 ma nel basso medioevo, nel nostro Paese come in altri, occidentali e non.

Segno che le società cambiano ma le teste di alcune persone, tante, troppe, lo fanno molto più lentamente e con retaggi difficili da cancellare. Ora, di questo argomento se ne parla tanto e poco allo stesso tempo, dunque forse se ne parla sempre sulla scia dell’emozione e se ne parla male come son ben capaci i nostri giornalisti e i nostri politici.

Perché ne scrivo? Perché oggi analizzando alcuni profili social di donne dello spettacolo, che si immortalano certamente provocanti (ma quello è il loro business, in alcuni casi), mi sono accorto come i commenti sono di due tipi:

  • estasiati e sdolcinati, quasi ridicoli se pensiamo al maschio che perde ogni dignità pur di “provarci” o adulare una bella donna;
  • volgari e offensivi, pieni di “ti scoperei” o “ammazza che figa”, lasciati immagino da maschi assai poco sicuri di se stessi, se debbono così tanto ostentare la propria virilità

Qui un caso:

 

Leggete bene i commenti. Per brevità ne metto uno, ma vi assicuro che il tenore è questo su molti profili. Siamo al discorso vecchio come il mondo: ti vesti così, te la sei cercata. No, non è così: puoi vestirti come ti pare, fare ciò che ti pare perché sei libera. L’errore è in chi vede in questo una scusa.

A questo punto mi viene in mente un bel video di un’associazione norvegese, Care, che dà il senso di ciò che ognuno di noi può e deve fare ogni giorno.

 


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Le trivelle di Mr. Bean

Il nostro Paese ci regala sempre qualche delusione. Annunciata, ma che rimane tale. Di più: il dibattito che ne segue e le posizioni che si alternano, rendono fastidiosa oltre ogni limite la delusione dell’ultimo minuto.

Il referendum che è stato chiamato con grande banalizzazione, anti-trivelle o stop-trivelle, era un referendum tutt’altro che rivoluzionario! Non proponeva alcun intervento retroattivo, non metteva in discussione alcuna concessione già ottenuta. Semplicemente, come anche razionalità suggerirebbe, diceva che alla scadenza della concessione, non si poteva continuare a estrarre gas o petrolio dal fondo marino (entro le 12 miglia) all’infinito.

Certo, prevedeva l’impossibilità di rinnovare tali concessioni, ma visti i dati sullo stato di salute di alcune zone marine accanto alle oltre 80 (!) piattaforme presenti nel nostro mare, era un obiettivo secondo me condivisibile per chi ama la natura e vuole trasferirla ai propri figli se non integra, decente.

Ebbene, come sempre, più che informazione si è fatta disinformazione interessata e prezzolata, in un Paese dove Eni&co hanno poteri amplissimi e in qualche caso, ambigui. Tanto che anche Matteo Renzi, Presidente del Consiglio in carica, ha non solo avallato la scelta di una votazione autonoma e separata del referendum dalle amministrative, su cui si poteva disquisire o meno ma poteva essere una scelta legittima (se ce la fai, cammina con le tue gambe), ma è stato rappresentante sfacciato del No.

Qui, trovo un cortocircuito istituzionale insopportabile. Ritengo abbia sbagliato e in modo grave. Un Presidente del Consiglio che si rispetti, secondo me, non può incitare al non voto laddove il voto, qualsiasi sia, è lo strumento principe di una democrazia.

Il culmine si è avuto poi ieri sera, con una conferenza stampa giuliva che ha del ridicolo. Si è premurato di farci sapere che era felice dell’astensionismo in qualche modo. Soprattutto, con una motivazione che meriterebbe un fact checking reale: il mantenimento dei posti di lavoro.

Signori miei, sono una manciata di posti e non erano in discussione fino al termine delle concessioni. Se vogliamo trovare mala-informazione, partiamo dal nostro Mr.Bean semmai, portavoce dell’industria estrattiva più che arbitro imparziale delle scelte e delle volontà dei cittadini.

La cosa che più amareggia (tolta la Basilicata, splendida eccezione di questa domenica!) è l’indifferenza dei singoli. Se la trivella non è dentro il loro giardino, se ne fregano. Come sempre. Viviamo in un Paese dove gli interessi privati sono sempre maggiori di quelli pubblici e comuni. Ed è questa la vera tristezza, perché da assai poca fiducia sul futuro nostro e dei nostri figli.


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Arrivano i bot…

Fresco fresco su Linkedin Pulse:

Nelle ultime settimane sono iniziate sperimentazioni d’uso da parte dei marketers via via più serrate, di Telegram con i suoi canali (vedi il canale @Eniday) e con i suoi bot. Lo stesso avverrà per Facebook Messenger, fresco fresco di annuncio da parte di Zuckerberg, che coi suoi numeri è una piattaforma ghiotta per molti.

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Cosa sono i bot? Non sono i buoni ordinari del Tesoro cari ai nostri genitori e nonni… Wikipedia.it li definisce così:

Il bot (abbreviazione di robot) in terminologia informatica in generale è un programma che accede alla rete attraverso lo stesso tipo di canali utilizzati dagli utenti umani (per esempio che accede alle pagine Web, invia messaggi in una chat, si muove nei videogiochi, e così via). Programmi di questo tipo sono diffusi in relazione a molti diversi servizi in rete, con scopi vari ma in genere legati all’automazione di compiti che sarebbero troppo
gravosi o complessi per gli utenti umani.

Nei paesi anglosassoni, con “Bot” s’intende un programma autonomo che nei social network fa credere all’utente di comunicare con un’altra persona umana. Questi bot migliorano di anno in anno ed è sempre più difficile distinguere un bot da una persona umana.

Si aprono dunque scenari molto interessanti di interazione tra user e brand, dove le prime interazioni immediate a richieste specifiche degli utenti, potranno essere soddisfate in via automatica dai bot stessi. Cosa più interessante, le risposte sono messaggi richiesti esplicitamente dai singoli utenti e dirette solo a loro.

Penso al Customer Care come anche a situazioni più banali. La più banale di tutte, un ristorante. Con un bot Telegram posso chiedere qual’è il menu del giorno e vedermi rispondere in 1 secondo, magari con call to action al fondo per prenotare direttamente un tavolo. Ribadisco, esempio banale ma utile a capire quanti altri, dai più banali ai più complessi, possono essere immaginati e tradotti in realtà nel giro di pochi mesi.

fb-bot

Trovo molto stimolante questo scenario.

Dopodiché, mi faccio alcune domande che giro anche a voi. In un primo momento ci iscriveremo a molti canali, avidi di informazione e per sapere come funzionano. Apriremo cioè nuovi punti di contatto dei brand con noi stessi e saremo allertati dunque da più notifiche, su più applicazioni e su tanti device diversi (anche se la convergenza ci dimostra come lo smartphone sia ormai al centro del nostro mondo). Per uno che ha silenziato tutte le notifiche sonore sul proprio telefono (!), il rischio è di un rumore di fondo tale da prestare sempre meno attenzione alle informazioni che ci interessano davvero. A noi, saper utilizzare gli strumenti che abbiamo a disposizione. Perché non è colpa del telefono se al ristorante una coppia passa metà del tempo a leggere uno schermo invece che a parlarsi… quello è perché è una coppia di pirla e basta! 😉


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MilleMiglia, un programma con pochi vantaggi

Avevo seguito con interesse le vicende Alitalia in passato come oggi, con l’acquisizione da parte di Etihad Airways. Ho sempre viaggiato abbastanza in aereo, in passato soprattutto, accumulando miglia e poi spendendole per qualche viaggio. Un giorno, quando non si sapeva se Alitalia sarebbe sopravvissuta o meno, decisi di accumularle su Flying Blue di Air France o di accumulare punti sul Membership Rewards di American Express.

Ora vi spiego perché secondo me non ha senso trasferire punti da American Express Membership Rewards al Club MilleMiglia di Alitalia.

American Express offre un servizio di agenzia viaggi su cui acquistare biglietti o soggiorni anche “spendendo” i propri punti. La scelta della compagnia è libera e i posti disponibili sono tutti quelli liberi sul volo scelto, senza limitazioni (limiti piuttosto bassi se invece si acquista un biglietto premio tramite Club MilleMiglia).

Nonostante questo, vedendo le tariffe risultanti, penso di trasferire i miei punti dal programma Membership Rewards al Club MilleMiglia. Ero convinto di poter volare con la compagnia di bandiera a un prezzo inferiore, cosa che però non puoi verificare fino a quando non hai sul conto le miglia utili a simulare l’acquisto del biglietto premio.

Mi sono così ritrovato con più di 100.000 miglia disponibili, un bel gruzzolo. Quanto basta per prenotare un volo Roma-New York a/r per 2 persone. Qual’è stata la sorpresa? Che tasse e supplementi sono comunque a carico dell’acquirente, come ricordavo, ma in una quantità imprevista: ben 591€ sul volo in questione (per 2 persone, andata e ritorno)!

Ora, se non utilizzassi le miglia e cercassi sempre su Alitalia un biglietto normale, pagherei a ottobre 490€ circa a persona. A questo punto, utilizzare le miglia per acquistare un biglietto premio tramite Club MilleMiglia non conviene. 100.000 miglia valgono a conti fatti meno di 400€. Molti di più debbono comunque essere pagati.

Avrei speso la stessa cifra o poco meno acquistando il volo con l’agenzia American Express, potendo però scegliere più liberamente la data e – magari – una compagnia migliore.

Allora, che senso ha accumulare miglia? Personalmente, tornerò ad affidarmi solo ed esclusivamente al Membership Rewards, dove almeno i punti hanno un valore.